Fin da bambina, da quando le è venuto il dubbio su quale lingua usare in un biglietto per la festa della mamma, Jhumpa Lahiri – nata a Londra da genitori bengalesi, già vincitrice del Pulitzer e del PEN/Hemingway – si è trovata ad affrontare problemi di traduzione. La riflessione sulla lingua e sulla resa da una lingua all’altra è uno dei modi più profondi per conoscersi e conoscere il mondo e gli altri, e nella raccolta di saggi Perché l’italiano? (Einaudi) Lahiri rivolge uno sguardo acuto e appassionato su molti tra i grandi della nostra letteratura. Per esempio, sui romanzi di Domenico Starnone che ha tradotto in inglese (Lacci, Scherzetto, Confidenza), sulle Lettere dal carcere di Antonio Gramsci, in cui di lingue e traduzione si parla molto, su Calvino, enorme successo anche all’estero. L’autrice affronta però anche molti altri aspetti, tra i quali la rilettura del mito di Eco e Narciso come metafora rispettivamente di traduzione e scrittura, anche per criticare l’idea radicata della traduzione come attività secondaria. Perché la pluralità delle lingue è l’unico terreno fertile per la letteratura e per la società, territorio d’incontro e di scambio che fa crescere e arricchisce.
Autrice adottata da Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Rovigo